lunedì 31 marzo 2014

Strapotere Djokovic: soffocato Nadal.


Questo calduccio primaverile mette voglia d'estate, e l'estate mette voglia di festa e festival. Partiamo con il festival della banalità, dunque. Il Djokovic avvistato ieri a Miami, sembra proprio quello del 2011. Verità o suggestione? Difficile a dirsi. Ma la mostruosa esibizione di potenza e tennistica ferocia con cui ha sottomesso l'incredulo Nadal fa nettamente propendere per la prima ipotesi. Più del controllo totale palesato da Djoker, a rendere plastica l'idea di quanto stesse avvenendo sul centrale di Crandon Park ci pensava la faccia di Rafa, il guerriero per definizione, ieri pallido, emaciato, smarrito. Persino i bellicosi "vamos", che normalmente bastano al maiorchino per indirizzare le partite,  tanto sono intimidatori, uscivano strozzati, quasi come provenienti da un pianto interiore; strozzati come il proverbiale drittone, che, privato dell'ordinaria spinta, rimaneva nudo nel suo spin e per questo corto e attaccabile. Specialmente da Nole, specialmente ieri. Il serbo, diabolico in volto come nelle giornate in cui si sente invincibile, era piantato cinquanta centimetri dentro al campo, trovavando i temuti angoli da ogni posizione e non dando mai veramente la sensazione di voler fare entrare in partita l'avversario. Ed in effetti Nadal in partita non ci è entrato mai, volontariamente tralasciando, in quanto poco significativi nel consuntivo del match, i primi dieci minuti dell'incontro, chiusisi sul 2 pari e contenenti l'unica palla break avuta dallo spagnolo e prontamente annullata da un vincente di Djokovic. Da lì in poi era mattanza, con un Nadal sempre più diruto e mai visto così in difficoltà alla risposta; un'esecuzione durata meno di un'ora e mezza e chiusasi con ventuno, dicasi ventuno, punti in più messi a segno dal serbo. Un Djokovic regale e spietato, che nulla ha concesso nei propri turni di battuta grazie a percentuali sontuose - 83% di punti con la prima e addirittura, se pensiamo che non rispondeva esattamente uno spettatore sorteggiato a caso, 62% con la seconda - mentre sempre insidiava i turni al servizio di Rafa. Il match point, il punto più bello della partita, concluso da un entusiasmante botta e risposta a rete vinto da Nole con volée in allungo atterrata ad un palmo dalla linea di fondo, sanciva il successo del serbo, che chiudeva trionfalmente il terribile mese sul primaverile cemento americano con la doppietta Indian Wells - Miami.

Detto che Nole è il secondo tennista, dopo Roger Federer, of course, a ripetere la doppietta nei Masters di marzo, resta la maledizione di Rafa, giunto, nolente, alla quarta sconfitta nella finale di Key Biscayne. Pare che Nadal, rispondendo ad una domanda circa la rivalità con Djokovic,  abbia affermato "non sono proprio contento che esista Nole. Amo le sfide, ma non sono stupido", e spera che il ritorno al feudo di polvere di mattone, previsto tra un paio di settimane nel suo Principato, gli riconsegni corazza e leadership.  Non sarà facile. Specialmente se il serbo si presenterà ai prossimi appuntamenti appoggiato con continuità dal suo miglior tennis, che, nonostante le due grandi vittorie appena conquistate, ha sfoggiato solo ieri e per un set e mezzo nella finale californiana con Federer, mostrandosi altrimenti parecchio distratto se non proprio vulnerabile. Ma Djoker, oltre ad essere dotato di una sorta di passaporto diplomatico - gli avversari si scansano prima di affrontarlo, solo quattro partite giocate per vincere un 1000 sono pochine - regala la netta sensazione che abbia bisogno del proprio miglior tennis solo quando affronta Nadal, con cui, da ieri, condivide la titolarità di tutti e nove i Masters 1000 in calendario. Spaventoso? Diciamo di si, e dubito fortemente che la terra rossa prossima ventura possa restringere la "forbice" tra i due mostri ed il resto della compagnia di aspiranti piazzati.

Masters 1000 Miami (Finale):

Novak Djokovic b. Rafael Nadal  6-3 6-3

sabato 29 marzo 2014

Il malocchio di Miami.


Una volta, ormai tanti anni fa, quando timidamente iniziavo ad approcciarmi all'arte tennistica, sentivo parlare del torneo di Key Biscayne - perché allora quasi tutti parlavano solo di Key Biscayne, solo una sparuta minoranza di Miami - come del "quinto slam". Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quei primi '90: negli ultimi vent'anni il torneo gemello di Indian Wells è cresciuto esponenzialmente, e, sotto l'impareggiabile spinta propulsiva del vulcanico patron Larry Ellison, ha dapprima pareggiato, poi inesorabilmente stracciato il Masters di Miami per popolarità, montepremi e strutture. Certo, il paradiso terrestre in cui sorgono gli impianti di Crandon Park funge da forte deterrente al declino della competizione, ma, se diamo uno sguardo a quanto accaduto giusto un paio di settimane fa in California, ammetteremo che tra i due 1000 della primavera americana ormai corre un abisso. Miami ha in realtà una sola vera esclusiva da opporre; un'esclusiva di cui si fregia grazie all'ormai antico ammutinamento ordito da Serena Willias ai danni del torneo di Indian Wells. Serenona Miami ce l'ha, Indian Wells no. Per il resto, dalle gremite tribune del deserto californiano, hanno assistito ad uno spettacolo nemmeno paragonabile, in meglio, s'intende. Qui non staremo a soffermarci sul perché; sul clamoroso successo della Pennetta o sulla precoce eliminazione di un Wawrinka scarichissimo; sulla nuova impennata fisica e soprattutto mentale di Federer o sul primo successo stagionale di Nole. Ecco, faccio fatica a non dilungarmi sui lampi di magia generosamente diffusi dal sommo Dolgopolov, ma avremo tempo e modo di dedicare al poeta ucraino il tempo e lo spazio che merita. Vorrei, piuttosto, ragionare su quello che il Sony Ericsson 2014 lascerà in eredità ai posteri, ma mi vengono in mente solo tre cose: il suicidio agonistico di Federer con Nishikori; il ciuffo di Raonic, che vorrebbe essere rock'n'roll ma che, dopo due ore e quarantacinque minuti di partita giocata al 61% di umidità, tende ad essere new wave come potevano essere new wave i Lookalikes o i Producers su un palco dell'81; e i ritiri. Soprattutto i ritiri. Due. In semifinale. Di un Masters 1000. Da parte di due giocatori che certo non possono dire di aver la pancia piena. L'atteggiamento di Nishikori e Berdych, ossequiosamente scansatisi per non turbare l'avvicinamento alla finale di Rafa e Nole, ricorda quello di due ottimi attendenti. Due ottimi attendenti che, però, dovrebbero rappresentare la cosiddetta subeccellenza del tennis maschile odierno. Mi vedo gli organizzatori, già intenti a dimenarsi per non essere risucchiati dalle sabbie mobili californiane, sbattere ritmicamente la testa contro il muro. Fossi in loro prenoterei l'aereo per Lourdes.

giovedì 27 marzo 2014

Master 1000 Miami. Il vecchio Federer.


Dicono: perdere una partita come quella di ieri, quella che Roger ha buttato via con Nishikori, è roba da vecchio Federer. Ma quale vecchio Federer? In attesa di capire a quale epoca tennistica ci si riferisca, metto le mani avanti e provo a non essere d'accordo. Il vecchio Federer il match di ieri lo avrebbe vinto 6-1 6-2. Il vecchio Federer, che un po' somigliava al Federer dei primi venti minuti del match di ieri, oltre a muovere il corpo con la consueta, sconcertante eleganza, imprimeva un ritmo al cianuro, altamente tossico per un avversario pur rapidissimo. Il vecchio Federer, come da paradigma, primeggiava a Risiko, e, infischiandosene delle più elementari leggi fisiche, difendeva miracolosamente campo  rifiutandosi di concederne al nemico, respingendo con velocità flipperistica e di controbalzo tutto ciò che di pur profondissimo l'oppositore provasse a scagliare. Nelle giornate più terse, il rovescio del vecchio Federer smetteva di ballare, assecondando lo svizzero in mirabili serie di vincenti lungolinea con il fondamentale meno sicuro. Quello di ieri non era il vecchio Federer. Quello di ieri, almeno quello visto dall'ottavo game del secondo set in poi, era un Federer recente, la versione 2013 del Campionissimo, diciamo. Che poi, quello dello scorso anno non era nemmeno Federer, ma un sosia mandato dall'ATP per reclutare nuovi adepti; un testimonial scelto per far sembrare il tennis uno sport alla portata di tutti. Un Federer falloso, malinconico, confuso nelle strategie. Non penserete mica che il Roger autentico avrebbe davvero provato a sfondare reiteratamente Nishikori da fondo campo e per giunta dal lato sinistro, vero? Quello di ieri non era il vecchio Federer, ma la sua controfigura dell'anno scorso. Quello vero è a Dubai a preparare il clamoroso bis al Rolando. Resta da capire chi fosse, ieri a Key Biscayne, l'attore che interpretava Stefan Edberg. Perché, il divino Stefan, appena tre serve and volley tentati in due ore e nove minuti di gioco non li avrebbe accettati. Se ne sarebbe andato molto prima.

Pensare tennis. Respirare tennis. Mangiare e bere tennis. Questo blog è stato creato per scrivere tutto quello che mi passa per la testa riguardo al gioco della pallina di feltro. Nient'altro da aggiungere.