sabato 29 marzo 2014

Il malocchio di Miami.


Una volta, ormai tanti anni fa, quando timidamente iniziavo ad approcciarmi all'arte tennistica, sentivo parlare del torneo di Key Biscayne - perché allora quasi tutti parlavano solo di Key Biscayne, solo una sparuta minoranza di Miami - come del "quinto slam". Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quei primi '90: negli ultimi vent'anni il torneo gemello di Indian Wells è cresciuto esponenzialmente, e, sotto l'impareggiabile spinta propulsiva del vulcanico patron Larry Ellison, ha dapprima pareggiato, poi inesorabilmente stracciato il Masters di Miami per popolarità, montepremi e strutture. Certo, il paradiso terrestre in cui sorgono gli impianti di Crandon Park funge da forte deterrente al declino della competizione, ma, se diamo uno sguardo a quanto accaduto giusto un paio di settimane fa in California, ammetteremo che tra i due 1000 della primavera americana ormai corre un abisso. Miami ha in realtà una sola vera esclusiva da opporre; un'esclusiva di cui si fregia grazie all'ormai antico ammutinamento ordito da Serena Willias ai danni del torneo di Indian Wells. Serenona Miami ce l'ha, Indian Wells no. Per il resto, dalle gremite tribune del deserto californiano, hanno assistito ad uno spettacolo nemmeno paragonabile, in meglio, s'intende. Qui non staremo a soffermarci sul perché; sul clamoroso successo della Pennetta o sulla precoce eliminazione di un Wawrinka scarichissimo; sulla nuova impennata fisica e soprattutto mentale di Federer o sul primo successo stagionale di Nole. Ecco, faccio fatica a non dilungarmi sui lampi di magia generosamente diffusi dal sommo Dolgopolov, ma avremo tempo e modo di dedicare al poeta ucraino il tempo e lo spazio che merita. Vorrei, piuttosto, ragionare su quello che il Sony Ericsson 2014 lascerà in eredità ai posteri, ma mi vengono in mente solo tre cose: il suicidio agonistico di Federer con Nishikori; il ciuffo di Raonic, che vorrebbe essere rock'n'roll ma che, dopo due ore e quarantacinque minuti di partita giocata al 61% di umidità, tende ad essere new wave come potevano essere new wave i Lookalikes o i Producers su un palco dell'81; e i ritiri. Soprattutto i ritiri. Due. In semifinale. Di un Masters 1000. Da parte di due giocatori che certo non possono dire di aver la pancia piena. L'atteggiamento di Nishikori e Berdych, ossequiosamente scansatisi per non turbare l'avvicinamento alla finale di Rafa e Nole, ricorda quello di due ottimi attendenti. Due ottimi attendenti che, però, dovrebbero rappresentare la cosiddetta subeccellenza del tennis maschile odierno. Mi vedo gli organizzatori, già intenti a dimenarsi per non essere risucchiati dalle sabbie mobili californiane, sbattere ritmicamente la testa contro il muro. Fossi in loro prenoterei l'aereo per Lourdes.

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