domenica 22 marzo 2015

Si, insomma, la Halep ha vinto Indian Wells. La finale, orrenda, è stata un tristo compendio su crisi di nervi, paura di vincere ed eresie tecniche. La Jankovic ha dominato il primo set, soffocando le pulsioni di una Simona apparentemente menomata. Dal secondo parziale, il buio. Nel secondo parziale, la Jankovic avanza per tre volte di un break, l'ultima sul 5 a 4 con la possibilità di servire per il match, ma dentro di sé trova il nulla esistenziale. Braccia paralizzate, prima di servizio contumace e sguardo terrorizzato: si decide al terzo. E anche qui la serba si procura vantaggi  di punteggio che con curioso sadismo puntualmente distrugge, mentre la rumena, che dopo ogni scambio pare sul punto di rendere l'anima, spingendo un po' di più sorpassa, nonostante l'inguardabile e insolita mole di errori specie con il dritto in avanzamento. Sul 5 a 3, Halep serve per i campionati di Larry Ellison, ma giunta a due punti dai medesimi concede tre non forzati semplicemente perché una partita simile non si può vincere, deve essere regalata dall'avversaria. Che provvede, in effetti, cedendo a 15 l'ultimo game del torneo. Occorre dire che Halep - Jankovic è stata la prima finale tirata ad Indian Wells da sedici anni a questa parte. Solo che, pensando a quel vecchio successo di Serena Williams su Steffi Graff, un pizzico di nostalgia ci assale.

martedì 17 marzo 2015

Kokkinakis è un leone. Difficile che non diventi un giocatore vero. Al terzo turno del "quinto slam" domina il primo set contro Juan Monaco, è inavvicinabile al servizio e ostenta un'oltraggiosa tendenza a tenere i piedi molto prossimi alla linea di fondo. Va avanti anche nel secondo con il break del 3-2, poi scende di botto con le percentuali della prima, mentre "Pico", non a caso contestualmente, alza il livello e sorpassa. Thanasi recupera fino al 5 pari, ma infine è costretto a soccombere: un set per uno e qualificazione appesa a un terzo parziale in cui l'argentino, più fresco e scafato, pare nettamente favorito. Invece l'australiano dimostra di non saper solo azzannare i momenti floridi della partita, ma anche di saper remare, sputare sangue, "star lì" con la testa. Mette il naso avanti ma il servizio non lo sostiene come dovrebbe, annaspa, viene recuperato, trova inspiegabili forze per aggrapparsi ad un altro insperato break e va a servire per qualificarsi agli ottavi. Sul match point, il dramma: Kokkinakis, spiritato, tiene uno scambio con le unghie, finché Monaco prova a tirare il vincente: largo. Thanasi si accascia, aspettando di sentire il liberatorio "out!" che gli consegnerebbe la partita. Ma nessuno fiata. Il ragazzino è atterrito, stenta a recuperare la posizione eretta mentre Layani lo guarda con la tenerezza compassionevole di un genitore che osserva un figlio adolescente disperato dopo essere stato lasciato dalla sua prima fidanzata. Layani sa che quella palla probabilmente non è buona, ma non tanto sicuro da rettificare l'opinione del giudice di linea. E Kokkinakis non ha più challanges a disposizione. Parità, dunque, doloroso quanto prevedibile preludio al controbreak e al sorpasso di Monaco. 

Diciott'anni, alla prima grande opportunità in torneo importantissimo, dopo quasi tre ore di match fatto di tante occasioni faticosamente guadagnate e sempre sfuggitegli dalle mani per un niente, contro il prototipo di giocatore che non regala nulla e tende a esaltarsi nella lotta specie in un'atmosfera bollente: in quanti sarebbero stati ancora disposti a credere alla vittoria? Probabilmente solo lui. Lui che soffre come un animale, che salva il game rischiando tutto e si guadagna il tie break. Lui che, ancora una volta, patisce il ritorno di un altrettanto commovente "Pico" fino ad arrivare ad altri match point, stavolta due di seguito, il primo con il servizio a disposizione. Che non basta, bisogna aggrapparsi al secondo, vincere sul servizio di un avversario che potrebbe non perdonarlo più. E qui, con l'ultima stilla di sudore, Thanasi in back di rovescio manda di là una palla che supera il nastro per magia, come sospinta dal soffio del destino. Il campo è pressoché libero, ma Monaco, sfinito lui pure, manda a mezza rete l'ultima occasione dell'incontro.

Vince, il fenomeno Aussie, e si batte forte il pugno sul cuore agitando il ciuffo da bravaccio manzoniano nel sole della California. Si, Thanasi è un leone. E i leoni, con quel servizio, possono diventare pericolosi. Chissà, forse un giorno il grande Pico potrà raccontare di esser stato il testimone privilegiato dell'alba di una nuova grande era del tennis australiano.

lunedì 16 marzo 2015

Giusto ieri, a Indian Wells, Gulbis  ha raccontato alla stampa che ama Milos Raonic come persona, ma che odia vederlo giocare. Forse, ma solo forse, preferisce  Kyrgios, anche se i giocatori "così macchinosi" non gli garbano. Sorvolando sulla preparazione del dritto del sublime lettone, macchinosa fino al parossismo, bisogna ammettere che le sue conferenze stampa dovrebbero essere trasmesse a reti unificate in tutti i paesi che si definiscono avanzati. Tra le decine di dichiarazioni confezionate dai tennisti ad uso e consumo della propria salvaguardia personale, il pensiero libero di Gulbis va tutelato con ogni mezzo. Forza Ernesto!

Vai Cristiana! Primo trionfo tra i pro.

Nella desolante attesa di un bagliore accecante, tentiamo di trovar conforto in qualche lume che pure comincia ad accendersi. Alla Vokl Cup, in scena sul sintetico siculo di Solarino, provincia di Siracusa, Cristiana Ferrando, nipote di Linda, zia ligure top 40 a metà anni '90, ha centrato il primo successo in un torneo Itf. E va bene, lo scalino è il più basso del tennis pro, ma il carattere con cui lungo il torneo ha tenuto di testa in situazioni molto complesse fa ben sperare, soprattutto considerato che, da tempo, sembra essere proprio la testa a frenare l'ascesa di troppe tenniste di casa nostra. La finale, vinta con un doppio 6-3 sulla francese Ramialison, terza testa di serie, ha rappresentato per paradosso il momento semplice del torneo; un torneo che deve essere il viatico per una grande stagione: se Cristiana non dovesse chiudere l'anno tra le prime 400, potrei considerare l'opzione di chiudere questo blog.

sabato 7 marzo 2015

Ci chiediamo sempre le solite cose: Rafa o Roger? Roger o Rafa? Djokovic, a fine carriera, sarà entrato nel grande firmamento? E il fidanzamento tra Griga e Masha è destinato a durare? 
Guardiamo sempre in alto; al rovescio baciato dal Dio dei rovesci di Wawrinka, ai contratti di sponsorizzazione multimilionari di Nishikori e alla mise delle belle signore che, per diritto ereditario, affollano il centrale di Wimbledon.
Ma ci sono anche i diseredati, i senza Dio, i quartieri poveri della racchetta. Ci sono Gonzalez e Monaco che affrontano Sa e Souza davanti a dieci persone a Sao Paulo. O Grigoriu e Paval che contendono le ottanta sterline per i qualificati al secondo turno a Ghedin e Grassi, davanti all'arbitro e a un paio di giudici di linea distratti, da qualche parte in un challenger scozzese. 
Ma ad un certo punto, dalla meravigliosa suburra del doppio internazionale, grazie alla Coppa Davis e alla tivù, che ogni tanto fa quello che deve fare, saltano fuori i gemelli Bryan opposti a Inglot e al fratello ignoto di Murray. Spettacolo. Uno degli eventi dell'anno. I britannici, nettamente sfavoriti contro gli imperatori della specialità, hanno appena recuperato da due set sotto nella bolgia di Glasgow. Mentre scrivo, il punteggio è di sette pari al quinto. Nessuno sa come andrà a finire, ma tutti sperano che duri il più possibile. Gran Bretagna e Stati Uniti e la rivincita del doppio: che specialità fantastica.