Ancora non ci sono aggiornamenti, ma spero di provvedere quanto prima, sempre che interessi a qualcuno. Da ora in avanti, parlerò di tennis qui:
lostatodirovescio.blogspot.com
Vi aspetto!
Ghost in to the Net.
Brevi ruminazioni tennistiche.
mercoledì 7 ottobre 2015
domenica 28 giugno 2015
L'amorevole Belinda, primo acuto tra i gabbiani.
Belinda, Belinda bella, quanti segnali, quante conferme.
Titolare dell’accoppiata Rolando – Wimbledon nel 2013, ai tempi spensierati
degli anni junior, giusto per far annotare sugli annali una doppietta slam, che
a livello giovanile mancava da 26 major. Terra ed erba, poi. E mi direte che tutto sommato, a livello giovanile, e massime in
gonnella, il fondo non è poi così determinante, specie se le categorie che ti
separano dalle giocatrici coeve sono otto o nove a tuo vantaggio. Sarà pur
vero, senz’altro vero, eppure il salto tra i grandi sembra essere stato
digerito senza bisogno di Maalox: far quarti a Flushing Meadows a diciassette
anni non prova niente, ma qualche indizio lo da, e le conferme non stanno
tardando. Vagamente messa a soqquadro durante l’inverno da una pressione che credo
si aspettasse ma che in fondo non è mai facile capire che bestia sia, l’amorevole
Belinda ha in qualche modo sofferto l’inizio della possibile annata
consacratoria, non certo aiutata dal testamento tennistico mondiale che, pur
sottolineando tutti i distinguo del caso, la nominava in qualche modo erede universale
di Martina Hingis. Facile e inesatto, per non dire insensato, il paragone tra
le due, i tratti comuni riducendosi all’ espressione geografica d’origine (l’ex
Cecoslovacchia) e alla fruizione delle prestazioni di Melanie Molitorova, madre
nonché allenatrice di Martina che da qualche tempo coadiuva Bencic padre nella
preparazione tecnica della figlia. Il fatto che la mano di Belinda non si
avvicini a quella dell’illustre predecessora è una buona notizia per le
avversarie, questo va detto. Migliorato significativamente il servizio durante
il training invernale, la diciottenne di Flawil vanta infatti fondamentali alquanto
pesanti, tende ad essere dominante pur sbagliando molto poco e soprattutto con
il rovescio, congenito, riesce a infliggere all’avversaria continue emorragie
che spesso portano quest’ultima al collasso.
Un campionario del suo arsenale si è visto giusto ieri nella
finale di Eastbourne, quando ha sostanzialmente dominato una Radwanska comunque
in crescita dopo i primi orribili sei mesi dell’anno. Una partita dove la
piccola svizzera ha deciso tutto, nel bene e nel male, riuscendo nell’ardua
impresa di scardinare la sofisticata ragnatela strategica dell’artista polacca,
tenendo in modo sorprendente da fondocampo e anzi inducendo Aga a liberarsi la
prima dallo scambio con una fretta che ha finito per snaturare il suo gioco e farla saltare alla distanza. Se il match si è protratto oltre il secondo set lo
si deve a un killer instinct che Bencic non ha ancora del tutto affinato e all’unica
vistosa pecca nei suoi schemi: la ritrosia all’approccio a rete che la obbliga
a prolungare con rischi eccessivi scambi sostanzialmente vinti. Sicuro che i
suoi tecnici, ovviamente molto più acuti di chi scrive, sapranno approfittare
della sua innata recettività per colmare una manchevolezza comune al novantanove
percento delle tenniste contemporanee, credo proprio che Belinda non tarderà a
bissare il primo trionfo della sua giovane e presumibilmente luminosissima
carriera, ottenuto con una prova sfolgorante nel vento dell’East Sussex tra un
coro di gabbiani.
mercoledì 3 giugno 2015
Brescia, sprazi di grand'Italia.
Ho visto speranze azzurre crescere, ché la speranza è l'ultima a morire. Di campionesse no, non è il momento di parlarne, per ora, ma di un florido sottobosco sì, urliamolo al mondo. Ho visto i muscoli di una Martina Caregaro mai così convinta; il tennis a tratti estasiante della Paolini, che solo dovrebbe sistemare quel servizio; la grintosissima sfrontatezza di Georgia Brescia, tennista sostanzialmente in fasce con una difesa pazzesca; la completezza e il ritmo esagerato di Cristiana Ferrando, già nota su queste pagine e favolosa speranza in potenza, con i suoi colpi pesanti ed un servizio inconsueto a queste latitudini. Ho visto un torneo, quello di Brescia, che non ha nulla da invidiare a molti eventi international, sintomatico di una volontà di crescere e di una fame di tennis che, se solo venisse percepita dalla nostra sonnacchiosa federazione, potrebbe avere un meraviglioso effetto volano sulla crescita di un movimento troppo spesso afflitto da inveterato pessimismo.
mercoledì 8 aprile 2015
Quinzi abbatte Rola a Napoli. Grande scalpo, Gigi.
I colpi dal lato sinistro camminano poco, a mio modesto parere. Camminano meno rispetto a quelli che uscivano dalla sua racchetta nei beati anni pre-professionistici. La seconda di servizio, poi. La seconda di servizio è un pianto. Non si può essere competitivi con una seconda di servizio del genere. Epperò. Gianluigi Quinzi, la cui tormentatissima integrazione nel mondo del tennis adulto stava iniziando a cancellare la beata speranza di chi vedeva in lui il prescelto che avrebbe riportato la racchetta maschia italiana ai vertici mondiali, ha dato un segnale. Giusto ieri, nel meraviglioso scenario della Mergellina, al primo turno del ricco challenger partenopeo, battendo il cartonato con le sembianze di Blaz Rola, sloveno numero 104 al mondo ma già varie volte con classifica a due cifre, ha ottenuto lo scalpo più importante della carriera. Detto dei colpi un po' ballerini con il dritto e di un servizio che non rende onore alla statura del ragazzone marchigiano, va detto che il rovescio bimane colpito dal lato destro, specie quello lungolinea, sembra aver raggiunto il giusto peso e promette di diventare il grimaldello con cui scardinare le situazioni più scabrose. In attesa di verificare, nel derby generazionale con Flavio Cipolla di giovedì, se il partitone di primo turno è attribuibile a una presa di coscienza di Quinzi oppure ad un Rola ingolfato di babà, deponiamo l'inevitabile pessimismo che atterrisce ognuno di noi quando un giovane connazionale di buone speranze perde cinque partite di fila, e proviamo a pensare che la bella sconfitta con De Bakker nelle qualificazioni di Miami sia stato il punto di svolta della sua giovanissima carriera.
domenica 22 marzo 2015
Si, insomma, la Halep ha vinto Indian Wells. La finale, orrenda, è stata un tristo compendio su crisi di nervi, paura di vincere ed eresie tecniche. La Jankovic ha dominato il primo set, soffocando le pulsioni di una Simona apparentemente menomata. Dal secondo parziale, il buio. Nel secondo parziale, la Jankovic avanza per tre volte di un break, l'ultima sul 5 a 4 con la possibilità di servire per il match, ma dentro di sé trova il nulla esistenziale. Braccia paralizzate, prima di servizio contumace e sguardo terrorizzato: si decide al terzo. E anche qui la serba si procura vantaggi di punteggio che con curioso sadismo puntualmente distrugge, mentre la rumena, che dopo ogni scambio pare sul punto di rendere l'anima, spingendo un po' di più sorpassa, nonostante l'inguardabile e insolita mole di errori specie con il dritto in avanzamento. Sul 5 a 3, Halep serve per i campionati di Larry Ellison, ma giunta a due punti dai medesimi concede tre non forzati semplicemente perché una partita simile non si può vincere, deve essere regalata dall'avversaria. Che provvede, in effetti, cedendo a 15 l'ultimo game del torneo. Occorre dire che Halep - Jankovic è stata la prima finale tirata ad Indian Wells da sedici anni a questa parte. Solo che, pensando a quel vecchio successo di Serena Williams su Steffi Graff, un pizzico di nostalgia ci assale.
martedì 17 marzo 2015
Kokkinakis è un leone. Difficile che non diventi un giocatore vero. Al terzo turno del "quinto slam" domina il primo set contro Juan Monaco, è inavvicinabile al servizio e ostenta un'oltraggiosa tendenza a tenere i piedi molto prossimi alla linea di fondo. Va avanti anche nel secondo con il break del 3-2, poi scende di botto con le percentuali della prima, mentre "Pico", non a caso contestualmente, alza il livello e sorpassa. Thanasi recupera fino al 5 pari, ma infine è costretto a soccombere: un set per uno e qualificazione appesa a un terzo parziale in cui l'argentino, più fresco e scafato, pare nettamente favorito. Invece l'australiano dimostra di non saper solo azzannare i momenti floridi della partita, ma anche di saper remare, sputare sangue, "star lì" con la testa. Mette il naso avanti ma il servizio non lo sostiene come dovrebbe, annaspa, viene recuperato, trova inspiegabili forze per aggrapparsi ad un altro insperato break e va a servire per qualificarsi agli ottavi. Sul match point, il dramma: Kokkinakis, spiritato, tiene uno scambio con le unghie, finché Monaco prova a tirare il vincente: largo. Thanasi si accascia, aspettando di sentire il liberatorio "out!" che gli consegnerebbe la partita. Ma nessuno fiata. Il ragazzino è atterrito, stenta a recuperare la posizione eretta mentre Layani lo guarda con la tenerezza compassionevole di un genitore che osserva un figlio adolescente disperato dopo essere stato lasciato dalla sua prima fidanzata. Layani sa che quella palla probabilmente non è buona, ma non tanto sicuro da rettificare l'opinione del giudice di linea. E Kokkinakis non ha più challanges a disposizione. Parità, dunque, doloroso quanto prevedibile preludio al controbreak e al sorpasso di Monaco.
Diciott'anni, alla prima grande opportunità in torneo importantissimo, dopo quasi tre ore di match fatto di tante occasioni faticosamente guadagnate e sempre sfuggitegli dalle mani per un niente, contro il prototipo di giocatore che non regala nulla e tende a esaltarsi nella lotta specie in un'atmosfera bollente: in quanti sarebbero stati ancora disposti a credere alla vittoria? Probabilmente solo lui. Lui che soffre come un animale, che salva il game rischiando tutto e si guadagna il tie break. Lui che, ancora una volta, patisce il ritorno di un altrettanto commovente "Pico" fino ad arrivare ad altri match point, stavolta due di seguito, il primo con il servizio a disposizione. Che non basta, bisogna aggrapparsi al secondo, vincere sul servizio di un avversario che potrebbe non perdonarlo più. E qui, con l'ultima stilla di sudore, Thanasi in back di rovescio manda di là una palla che supera il nastro per magia, come sospinta dal soffio del destino. Il campo è pressoché libero, ma Monaco, sfinito lui pure, manda a mezza rete l'ultima occasione dell'incontro.
Vince, il fenomeno Aussie, e si batte forte il pugno sul cuore agitando il ciuffo da bravaccio manzoniano nel sole della California. Si, Thanasi è un leone. E i leoni, con quel servizio, possono diventare pericolosi. Chissà, forse un giorno il grande Pico potrà raccontare di esser stato il testimone privilegiato dell'alba di una nuova grande era del tennis australiano.
lunedì 16 marzo 2015
Giusto ieri, a Indian Wells, Gulbis ha raccontato alla stampa che ama Milos Raonic come persona, ma che odia vederlo giocare. Forse, ma solo forse, preferisce Kyrgios, anche se i giocatori "così macchinosi" non gli garbano. Sorvolando sulla preparazione del dritto del sublime lettone, macchinosa fino al parossismo, bisogna ammettere che le sue conferenze stampa dovrebbero essere trasmesse a reti unificate in tutti i paesi che si definiscono avanzati. Tra le decine di dichiarazioni confezionate dai tennisti ad uso e consumo della propria salvaguardia personale, il pensiero libero di Gulbis va tutelato con ogni mezzo. Forza Ernesto!
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