domenica 28 giugno 2015

L'amorevole Belinda, primo acuto tra i gabbiani.

Belinda, Belinda bella, quanti segnali, quante conferme. Titolare dell’accoppiata Rolando – Wimbledon nel 2013, ai tempi spensierati degli anni junior, giusto per far annotare sugli annali una doppietta slam, che a livello giovanile mancava da 26 major. Terra ed erba, poi. E mi direte che tutto sommato, a livello giovanile, e massime in gonnella, il fondo non è poi così determinante, specie se le categorie che ti separano dalle giocatrici coeve sono otto o nove a tuo vantaggio. Sarà pur vero, senz’altro vero, eppure il salto tra i grandi sembra essere stato digerito senza bisogno di Maalox: far quarti a Flushing Meadows a diciassette anni non prova niente, ma qualche indizio lo da, e le conferme non stanno tardando. Vagamente messa a soqquadro durante l’inverno da una pressione che credo si aspettasse ma che in fondo non è mai facile capire che bestia sia, l’amorevole Belinda ha in qualche modo sofferto l’inizio della possibile annata consacratoria, non certo aiutata dal testamento tennistico mondiale che, pur sottolineando tutti i distinguo del caso, la nominava in qualche modo erede universale di Martina Hingis. Facile e inesatto, per non dire insensato, il paragone tra le due, i tratti comuni riducendosi all’ espressione geografica d’origine (l’ex Cecoslovacchia) e alla fruizione delle prestazioni di Melanie Molitorova, madre nonché allenatrice di Martina che da qualche tempo coadiuva Bencic padre nella preparazione tecnica della figlia. Il fatto che la mano di Belinda non si avvicini a quella dell’illustre predecessora è una buona notizia per le avversarie, questo va detto. Migliorato significativamente il servizio durante il training invernale, la diciottenne di Flawil vanta infatti fondamentali alquanto pesanti, tende ad essere dominante pur sbagliando molto poco e soprattutto con il rovescio, congenito, riesce a infliggere all’avversaria continue emorragie che spesso portano quest’ultima al collasso.

Un campionario del suo arsenale si è visto giusto ieri nella finale di Eastbourne, quando ha sostanzialmente dominato una Radwanska comunque in crescita dopo i primi orribili sei mesi dell’anno. Una partita dove la piccola svizzera ha deciso tutto, nel bene e nel male, riuscendo nell’ardua impresa di scardinare la sofisticata ragnatela strategica dell’artista polacca, tenendo in modo sorprendente da fondocampo e anzi inducendo Aga a liberarsi la prima dallo scambio con una fretta che ha finito per snaturare il suo gioco e farla saltare alla distanza. Se il match si è protratto oltre il secondo set lo si deve a un killer instinct che Bencic non ha ancora del tutto affinato e all’unica vistosa pecca nei suoi schemi: la ritrosia all’approccio a rete che la obbliga a prolungare con rischi eccessivi scambi sostanzialmente vinti. Sicuro che i suoi tecnici, ovviamente molto più acuti di chi scrive, sapranno approfittare della sua innata recettività per colmare una manchevolezza comune al novantanove percento delle tenniste contemporanee, credo proprio che Belinda non tarderà a bissare il primo trionfo della sua giovane e presumibilmente luminosissima carriera, ottenuto con una prova sfolgorante nel vento dell’East Sussex tra un coro di gabbiani.

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