giovedì 10 aprile 2014

Aria di primavera, boccate d'aria fresca.

                         

Due personaggi, in un giovedì di una settimana popolata da tornei minori, inaspettatamente illuminano il mio pomeriggio.

A Katowice, unico torneo polacco del circuito maggiore, Francesca Schiavone gioca un set e mezzo allapari con Agnieszka Radwanska. Alla pari nel punteggio, certo, e cosa più importante, nel gioco. Per mezz'ora buona, ho rivisto la Francesca di tre anni fa: varia, determinata, incapace di provare timore reverenziale nei confronti di chicchessia. Il rovescio lungolinea a una mano, colpo ampiamente estinto nel circuito in gonnella, oggi predicava e decideva come ai tempi belli, e il serve and volley, specie nella variante smorzata, praticato da sparute minoranze nel tour, lucidava gli occhi di gioia e malinconia. Agnieszka, costretta per qualche minuto a specchiarsi, mi si conceda l'eresia, nella sua stessa varietà, una varietà che in un mondo di colpitrici seriali inevitabilmente la stupiva, rimaneva in attesa che l'ispirazione terminasse. E, in effetti, seppur Francesca abbia continuato a mostrare lampi di stile e di una convinzione che fa sperare per il futuro, dal quattro a due in favore dell'italiana emergeva la maggior tenuta a certi ritmi della polacca, che infilava quattro giochi consecutivi prodromici al 6-4 6-3 che determinava la qualificazione di Aga ai quarti del torneo di casa. Non poteva esserci sconfitta migliore, per la campionessa del Roland Garros 2010: si palesi in questo momento chi pensava che a Francesca non frullassero in testa pensieri di ritiro, visti i drammatici, sportivamente parlando, risultati degli ultimi due anni. Se gioca come oggi, il programma può essere ambizioso ancora per un periodo mediamente lungo, ne sono convinto.

La seconda boccata d'aria fresca arriva da Casablanca, dove da lunedì si sta disputando l'unico torneo rimasto nel continente africano da quando Johannesburg ha ceduto sotto le picconate della crisi economica. Benoit Paire, istrionico artista avignonese, fuori competizione dall'Australian Open a causa di un fastidioso problema al tendine rotuleo, ha portato a casa il suo incontro di secondo turno contro il maratoneta Albert Montanes, rimanendo in gara come maggiore testa di serie, vista l'inopinata eliminazione patita ieri da Kevin Anderson, qui finalista lo scorso anno, per mano di Victor Hanescu. Una vittoria maturata in tre set che non rappresenterebbe nulla di eccezionale, se non si trattasse di Paire. Vinto il primo set e avanti di un braek nel secondo, nel decimo gioco andava in scena il pirotecnico spettacolo tipico delle partite in cui è coinvolto il francese, che apparecchiava lo show inserendo tutti gli ingredienti della sua personalissima extravaganza: cedeva il servizio a zero, andava sotto sei a cinque, sbagliava uno smash da manicomio, perdeva il parziale e frantumava la racchetta. Il tutto in cinque minuti-cinque. Una meraviglia. Quando tutti gli allibratori si affrettavano ad abbassare la quota di Montanes, convinti, come dar loro torto, che Benoit avrebbe perso il decisivo set a zero in quindici minuti e comunque non prima di aver disintegrato altri due attrezzi del mestiere, il francese si rimetteva in sesto e chiudeva con un sei a quattro bugiardo, perché il margine sarebbe potuto essere ancora maggiore, evidenziando tutta la propria superiorità. Una superiorità figlia di un talento bizzarro, e questo si sapeva, che Paire sta però portando agli estremi. Oggi, soprattutto nel terzo set, circa la metà dei vincenti sono arrivati grazie a serve and volley pazzeschi oppure a seguito di smorzate dal coefficiente di difficoltà altissimo. I colpi con cui qualsiasi tennista raccoglie facili quindici, Paire li converte in impensabili errori gratuiti. E meno male che, alla fine della scorsa stagione, aveva promesso che si sarebbe dato una calmata. Non farlo, Benoit, che di irreprensibili soldatini è già piena l'aria.

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