martedì 29 aprile 2014

Settimana di transizione, tra prime volte e conferme.


Settimana di transizione, quella appena passata. Una settimana segnata dalle prime volte, quasi una costante di un'annata che promette di iniziare, quantomeno, a picconare le certezze acquisite in anni di dominio incontrastato dalle autorità costituite. Se il livello tecnico di Marrakech, invero piuttosto basso, ha sminuito in qualche modo il successo di Maria Teresa Torro Flor nel ballo delle aspiranti debuttanti con Romina Oprandi, e la Porsche che ogni aprile Maria Sharapova aggiunge alla personale scuderia vincendo il torneo di Stoccarda è ormai consuetudine, più scalpore ha destato il primo successo di Kei Nishikori sulla terra battuta, arrivato al termine di un Conde de Godo letteralmente dominato e concluso in panciolle dopo la facile finale vinta sul sorpresone ecuadoriano Santiago Giraldo. Il giapponese di Bradenton è il primo giocatore a vincere Barcellona pur non essendo spagnolo dai tempi di Gaston Gaudio, che trionfò nell'edizione del 2002, e promette, con la sua feroce regolarità, di essere una scomoda mina vagante nella volata d'argilla che si concluderà al Roland Garros.

Settimana di "prime", s'è detto, ma quella appena conclusasi è stata segnata anche da conferme importanti ed importantissime. A Bucarest il torneo è stato quello che è stato, ma Dimitrov ha bisogno di vincere per imparare a vincere. Dunque anche il modesto secondo titolo ottenuto nel circuito maggiore è fieno in cascina per il signor Sharapov, che se non altro ha imparato a scacciare la tremarella contro avversari che dovrebbe facilmente sbranare. Quello della finale di domenica, Rosol, uno che quando sente profumo di Romania alza di due tacche il volume dello stereo, è stato digerito con relativo agio, ma continuo ad avere l'impressione che il rovescio del bulgaro, un rovescio che arrossisce d'imbarazzo quando viene sollecitato con media decisione, sia un ostacolo ancora abbastanza alto nella strada che dovrebbe portarlo sulle vette del monte Tennis.

Per trovare una conferma davvero entusiasmante dobbiamo scendere di livello e cambiar continente, perché lo spettacolo vero è andato in scena sulla terra verde di Savannah, sulla costa della Georgia americana. Nel profondo sud Nick Kyrgios, australiano di Canberra allevato da padre inequivocabilmente greco e da madre malese, ha conquistato il terzo challenger in carriera, secondo consecutivo dopo quello di Sarasota vinto la settimana precedente,  travolgendo chiunque abbia incontrato sulla propria strada e lottando soltanto in finale, dove ha ceduto a Jack Sock l'unico set del torneo finendo per prevalere comunque in tre. Diciannove anni ancora da compiere, il cervellone che settimanalmente redige le classifiche ATP lo colloca in questi giorni alla posizione numero centocinquantadue. Un metro e novantatré centimetri d'altezza, colpi di rimbalzo esplosivi, servizio bomba e testa apparentemente sulle spalle. I fans lo amano perché ha sorrisi e tempo per tutti; gli osservatori lo pressano perché deve fare in fretta ad entrare nel salotto buono. Io mi limito a pensare che, se il gomito destro che lo sta facendo dannare lo lascerà vivere in pace, alla fine dell'anno lo ritroveremo nei primi ottanta. 

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